Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

La platea di san Domenico

di Pasquale Elia 

            

        IL titolo del documento in questione è:

“Platea seu campione di tutti li beni stabbili di campagna annui canoni sopra le case, e case proprie posside il venerabile convento di S. Domenico della Terra di Ceglie sotto il titolo di S. Gio. Evangelista, fatta in tempo che fu Generale il R.do P.M. F. Tomaso Ripolli, e del Provincialato P.M.F. Domenico Scura, e del Priorato del P.L.F. Nicola M° Casalini, giudice delegato Not. Tomaso Lamarina di Ceglie, costrutta, misurata e poste in pianta da Pietro di Suma di Francavilla - A.D. MDCCXXXIV – 1744”.

 

Prima di esaminare il contenuto di quel grosso Registro, è sicuramente necessario spiegare, cosa è in realtà quell’attestato.

Trattasi di uno smisurato Libro in cui sono riportati, le proprietà del convento quali, case, campagne, orti, frantoio oleario, masserie, uliveti, vigneti, animali di grosse e piccole taglie, decisioni dei feudatari, suppliche al Re, delibere comunali, avvenimenti, circostanze e fatti verificatisi nella nostra città e riportati a futura memoria. In buona sostanza è una specie di grosso moderno nostro diario.

L'oggetto è gelosamente, e giustamente aggiungo, custodito presso l'Archivio di Stato di Brindisi e per quanto attiene al suo contenuto sarebbe da supporre che dovesse riportare avvenimenti successivi a quella data del 1744. 

Dall’intestazione di cui sopra apprendiamo così che il convento è intitolato a San Giovanni Evangelista. Lo

La Platea di San Domenico
stemma araldico riprodotto sull’architrave della porticina di via Giuseppe Elia, già via Municipio, è proprio di quel Santo. Da non confondere con quello di San Giovanni  Battista in cui l’agnello è con la testa rivolta a sinistra, mentre questo è con la testa dell’agnello rivolto a destra.

Concessione ministero Beni culturali

e ambientali

Archivio di Stato di Brindisi (n. 1/98)

Nelle prime pagine (p.2), infatti, è annotato che il Convento fu fondato “…. dall'Ill.ma signora Aurelia Sanseverino ………la quale sin dal 1534, con suo padre don Giovanni Sanseverino chiamò la nostra religione in questa Terra”…..

Il convento (odierna Casa Comunale) per suore con annessa Cappella, secondo alcuni, intitolata a San Giovanni Battista, fu fondato il 25 dicembre 1534 (AGOP, IV, 24, fol. 143v; G.  Cappellutti, L’Ordine Domenicano in Puglia, Saggio Storico, Teramo 1965, p.27; Memorie domenicane, Gli Ordini religiosi mendicanti. Tradizione e dissenso, a.1991, n°22, pp.27-28), da Aurelia Sanseverino con suo padre don Giovanni (ASBr. Platea. cit. p.3/v), secondo altri, invece, nel 1570, e fu dedicato a San Giovanni Evangelista (Archivio Basilica di San Nicola di Bari, I Conventi domenicani del Sud nelle risposte del 1736; AGOP, Liber A, Liber F, ff.556-577; Notam.ti delli Conv.ti Padri et frati della Prov.a di S. Tho.o delli Pred. Capitolo Vicariati, p.41).

E’ da ritenere verosimile che il complesso fu edificato tra il 1534 e il 1558, prima della morte di Aurelia, avvenuta, nel 1562 e, comunque, anche prima della morte di Carlo V, Imperatore del S.R.I. , avvenuta , nel 1558 e intitolato a San Giovanni Evangelista.

Per meglio seguire gli avvenimenti, sarà importante, tenere, per il momento, sempre presente questa data: 1534.

E' chiaro pensare, quindi, che quando il frate domenicano scriveva “……chiamò la nostra religione in questa Terra…… “ dobbiamo intendere, e non ci possono essere dubbi di sorta, che quell'Ordine arrivò nella nostra città fin da quel lontano 1534.

Il nome del padre di Aurelia non era Giovanni – come riportano i frati domenicani - in realtà, il suo nome, era Tommaso, il quale ci viene dato per morto, assieme alla moglie Isabella, figlia di Giacomo di Acaja, fin dal 1510 (ASNa. Archivio Sanseverino di Bisignano, m/s di Livio Serra di Gerace, vol. III, p.1214; J. Donsì Gentile, Archivio Sanseverino di Bisignano, in Archivi di Stato di Napoli, Archivi privati, Inventario sommario, vol. I, Roma 1967, p.18; L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto. Le province di Brindisi e Taranto, Novoli 1996, vol. II, p.16-18; Pasquale ELIA, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.47; Davide Shamà, genealogista, I Sanseverino, Internet). In quell’anno 1534, pertanto, non poteva “chiamare” l’Ordine dei Predicatori  “in questa Terra”, ossia a Ceglie.

Livio Serra di Gerace, genealogista contemporaneo della famiglia, nel suo manoscritto (custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli) indica, “Aurelia, figlia del quondam Tommaso e della quondam Isabella dell’Acaja”.

Quel vocabolo “quondam” veniva usato in passato davanti al nome di defunti proprio con lo stesso significato dell’odierno nostro “fu”.

Non può essere il genitore della nostra Aurelia, perché abbiamo affermato che, all’epoca, era già morto. Saremmo costretti ad intendere invece il marito di costei, infatti, Giovanni era il suo nome, ma anche questa ipotesi purtroppo è indubbiamente errata perché il Giovanni Sanseverino, marito, ci risulta trapassato ancora prima del 1530.

            Il 19 gennaio 1530 a Napoli, fu reso esecutivo un decreto del Consiglio del Collaterale nella causa tra la moglie di Giovanni Sanseverino (Aurelia), da una parte, il Regio Fisco e Luigi Icart, castellano di Castelnuovo di Napoli, possessore della Terra di Viggianello, dall’altra (J.Donsì Gentile, cit. p.54; L.A. Montefusco, cit. vol. II, p.46).

 Il 26 marzo 1530, Aurelia, infatti, entrò in possesso del castello di Viggianello (PZ), proprio in esecuzione della sentenza del Consiglio del Collaterale, “….per quanto a lei dovuto per dote e diritti dotali dal marito Giovanni Sanseverino…..” (J.Donsì Gentile, cit. p. 21; Pasquale Elia, cit. p.49). 

Quest’ultima frase ci dimostra che la baronessa di Ceglie, Aurelia, nel 1530, era già vedova del 1° marito, Giovanni Sanseverino.

Abbiamo certificato che per quanto attiene al ….padre don Giovanni Sanseverino ……..non risponde a verità (attestato), e altrettanto dicasi per il marito don Giovanni.

  Aurelia, già vedova, contrasse un secondo matrimonio con Giovanni Francesco Conclubeth di Bagnara, marchese di Arena e Stilo. E’ da notare che anche il 2° marito aveva il nome Giovanni (J. Donsì Gentile, cit. vol. IV, p.24; P. Elia, cit. p.51).

Giovanni Conclubeth era il suocero della figlia Isabella, la quale il 23 settembre 1535, aveva sposato Pietrantonio Conclubeth (J. Donsì Gentile, cit. vol. XIV, p.23).

Il cronista domenicano scriveva ancora  “……Aurelia alla morte del marito (quale?) donò due Cappelle, una della Natività della Madonna e l’altra di San Giovanni Evangelista dello Spedale – atto del Notaro apostolico Lorenzo Provarola della città di OstuniLa donazione fu confermata dall’Arcivescovo di Brindisi e Oria Giovanni Alessander. A.D. 2 marzo 1544 (ASBr., Platea …cit., p.3).

Il vescovo in questione non è mai esistito. Sotto quella data il Pastore di quella diocesi era S.E. Monsignore Francesco ALEANDRO (1542 - 3 novembre 1560), nato a Motta di Livenza (Cronotassi, Iconografia e Araldica dell’Episcopato Pugliese, Editrice Regione Puglia, Bari 1984, p. 139). E non c’è stato né prima, né dopo alcun altro vescovo con quel nome.

Abbiamo verificato che nel marzo del 1530, il 1° marito di Aurelia - Giovanni Sanseverino - era già morto, e nel mese di giugno del 1546 ci risulta deceduto anche il suo secondo marito - Giovanni Conclubeth – (J.Donsì Gentile, cit. vol. XIV, p.24).

A chi il merito dunque di quel complesso indispensabile alla nostra comunità da duecento anni circa ? (odierna Casa comunale). Chi era dunque il famoso don Giovanni citato nel grosso volume? E se fosse stato proprio il secondo marito, il quale essendo molto più anziano di lei (35 anni) potrebbe essere stato scambiato come padre? E’ una possibilità che potrebbe verificarsi molto importante.

Fare attenzione adesso alla data 1682.

Sempre nel taccuino in argomento l’amanuense domenicano scriveva che essi (frati) ”……misero piede a Ceglie nel 1682 e la chiesa di San Domenico….-  fu aperta al pubblico -….nel 1688….” (ASBr. Platea…p.3/v)

            L’Universitas (Comune) di Ceglie nella persona dell’allora Sindaco Giovanni Cognano e degli Eletti (odierni Assessori), Annibale Gioia, Giovanni Battista Monaco e Natale Santoro, nel lontano 1597, ossia ottantacinque anni prima del 1682, stipularono un contratto con la Ditta Fratelli Cataldo e Alfonso D'Errico di Gallipoli, “….. per la costruzione di una campana intitolata alla Madonna Santissima del Rosario per il convento dei PP. domenicani di Ceglie….” (ASBr., Notaio Stefano Matera, 1 maggio 1597, C.18.INV.III.B.3.1.II.1). Altro contratto dello stesso tenore fu stipulato il 10 maggio 1597 “…… per fare una campana al convento di Santo Giovanni dell'Ordine dei Domenicani di detta Terra di Ceglie intitolata detta campana del Rosario con le figure della Madonna Santissima…..” (ASBr. Notaio Stefano Matera, C.24.INV.III.B.3.1.II.1).

            Quella campana, bel visibile, da alcune finestre degli uffici del municipio, a mio avviso, è ancora alloggiata sul campanile a vela della nostra chiesa. E’ un reperto di eccezionale valore.

            Il 6 giugno 1651 il duca don Cesare Lubrano, nel suo testamento lasciò 300 ducati perché la festa del SS. Rosario “…si sollennizzasse con maggiore pompa…” (ASBr., Platea…cit. p.2-3).

            Una testimonianza molto importante per la dimostrazione della nostra tesi, infine, è la donazione che il 16 marzo 1656 i Fratelli Pio e Giambattista Forlèo di Francavilla fecero al convento dei frati domenicani: il frantoio oleario (trappit’) situato “…. subito fuori la Porta di Giuso….” angolo via Bottega di Nisco, “…con l’obbligo di celebrare due Messe settimanali in suffragio della loro anima …….”.  Nella stessa occasione (1656) i citati F.lli Forlèo fecero costruire nella Chiesa  di San Domenico la Cappella (altare laterale) del SS. Rosario.

            Alla luce di quanto sopra la nostra bella Chiesa di San Domenico, potrebbe essere molto più antica di quanto abbiamo rilevato da quel grosso attestato.

            Possiamo ora, dichiarare, con certezza, che quell'Ordine, cosiddetto dei Predicatori, nel 1597, viveva già nella nostra città, da oltre sessanta anni. 

E allora perché:

-         Tante inesattezze?

-         Tante imprecisioni?

-         I frati, all’epoca, riportavano tante panzane e non la verità?

-         Quel testo dobbiamo considerarlo un falso?

-         In futuro dobbiamo trovare altri riscontri più credibili?

 

MI PIACEREBBE AVVIARE UN DIBATTITO SULL’ARGOMENTO CON STUDIOSI CEGLIESI, ANCHE PER MEZZO DI IDEANEWS on line.

 

 

 

(Aggiornato il 16/11/2007 )

 

Torna all'indice dell'antologia

 

Hit Counter