9 Maggio 2025

L’Ospizio dei Padri Carmelitani

Una vecchia stampa di Ceglie Messapica: sulla collina sono visibili il Castello ducale e la chiesa Matrice
Una vecchia stampa di Ceglie Messapica: sulla collina sono visibili il Castello ducale e la chiesa Matrice

I luoghi di ospitalità e assistenza tra il XVI e XVII secolo a Ceglie Messapica. E le lite tra gli ordini monastici per la conservazione dell’obolo. Fino al devastante terremoto del 1743 che segnò la fine del convento costruito in Largo Ospizio, all’epoca fuori le mura del paese

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di Pasquale Elia

Verso la fine del XVII secolo il canonico don Santo Nannavecchia, per sua devozione verso la Madonna del Carmine, inviò una richiesta all’allora Vescovo di Oria, Monsignor Carlo Cuzzolini [1] per sollecitare l’apertura di un ospizio intitolato alla Vergine Santissima del Carmine.

Egli così scriveva al Vescovo : “Il Canonico Don Santo Nannavecchia della Terra di Ceglie, humilissimo suddito, e perpetuo Oratore di V.S. Ill.ma con suplica humilmente espone a V.S. Ill.ma come per sua Devotione desidera fondare un ospizio in detta Terra sotto il titolo della Vergine Santissima del Carmine, tanto maggiormente che questo popolo n’é molto Devoto, come anco per maggior commodità de Religiosi di detto Ordine, che il detto riceverà per gratia…..”.

A quei tempi l’Ospizio dal latino Hospitium aveva il significato di ospitalità, alloggio, accoglienza e non certamente come lo intendiamo noi oggi. Era quindi un edificio dove forestieri e pellegrini potevano trovare temporaneamente alloggio e assistenza.

Queste strutture erano per lo più fondate e tenute da ordini religiosi. In seguito quel termine ha assunto il significato di edificio destinato a ospitare e dare ricovero a persone prive di mezzi di sussistenza e di alloggio proprio in particolare fanciulli senza famiglia e vecchi. Ecco quindi il brefotrofio quando è destinato a bambini in tenera età, l’orfanotrofio quando ospita fanciulli senza genitori, ospizio per vecchi, luogo di ricovero destinato a persone di età avanzata, prive di assistenza famigliare e di mezzi di sussistenza.

Per la connotazione negativa acquisita via via quel termine ospizio, è stato oggi sostituito da altri meno spiacevoli, come casa di riposo o di ricovero, pensionato, istituto, soggiorno, albergo, residence, specificando di volta in volta la loro destinazione.

La rete degli hospitia s’incentra prevalentemente intorno ai monasteri benedettini per i quali risultava componente essenziale della loro spiritualità l’esercizio della hospitalitas in piena aderenza al capitolo 53 della Regola.

Nelle norme statutarie si prescriveva ai confratelli di recarsi ogni giovedì Santo in pellegrinaggio nelle chiese a visitare i sepolcri, ossia, l’Eucaristia deposta in un’urna. Questa pratica trovava la sua origine nella tradizione del primitivo Ordine carmelitano, che induceva i pellegrini a visitare il Santo Sepolcro in Terrasanta. Trapiantatosi in Occidente, l’Ordine conservò la pia abitudine, limitatamente all’adorazione del Santissimo Sacramento il giovedì e il venerdì Santo.

Ospedali presso monasteri cegliesi sono documentati per San Domenico, intitolato a San Giovanni Evangelista dello Spedale (1540 ca), dei Padri Carmelitani (1696 ca), di Sant’Antonio Abate (?), odierna Piazza Sant’Antonio (1450 ca).

In effetti, il richiesto convento fu costruito, nel 1696, fuori le mura, nella zona ora meglio conosciuta come Largo Ospizio, Via Francesco Argentieri o nelle immediate sue vicinanze, gestito dai Padri Carmelitani con sede principale a Martina Franca.

In una relazione annuale, inviata a Roma dal Padre Priore dei Carmelitani di quella città, al Padre Generale dell’Ordine, sono elencate le entrate del convento assicurate da diversi vigneti, dalla masseria detta Donna Laura in territorio di Ceglie, donata da Flaminio Colucci, nel 1628, per disposizione testamentaria della moglie Silvia Gioia; da un’altra masseria, denominata Monte Tre Carlini, oggi Monaci, nella parte nord-occidentale del territorio martinese. Nel documento sono, inoltre, menzionati i nomi di numerosi benefattori defunti, che hanno elargito al convento cospicui lasciti in denaro [2].

La costruzione di quel convento fece insorgere (si fa per dire) i Padri Cappuccini, i quali lamentarono al Procuratore Generale dell’Ordine che la presenza dei Carmelitani nella nostra città avrebbe fatto diminuire l’afflusso delle elemosine a loro favore. Anche il Clero locale deve avere avuto le stesse preoccupazioni dei Cappuccini tanto che tra i frati Carmelitani e il Capitolo i rapporti non furono mai dei   migliori.

Nel 1721, intanto, i Padri Carmelitani erano decisamente entrati nella vita della comunità cegliese e convinti di questo chiesero che la Cappella del loro convento fosse trasformata in Chiesa pubblica. Avevano fatto, come si suole dire, il conto senza l’oste perché il Capitolo locale oppose una accanita resistenza (avrebbero perso l’obolo), e per tale motivo la crepa che di già esisteva di vecchia data tra il Clero cittadino e i Padri Carmelitani risultò in seguito insanabile.

E’ noto che il 20 febbraio 1743 il Salento fu colpito da una fortissima scossa tellurica con epicentro nel Canale d’Otranto, e tra le città più colpite purtroppo risulta, tra le altre, proprio la nostra Ceglie. Si lamentarono enormi danni alle infrastrutture, tra cui l’ospedale dell’epoca, tanto che a dicembre di quello stesso anno fu necessaria la riedificazione e ristrutturazione dell’ospedale. Anche la Chiesa Madre (quella costruita nel 1521) subì molti danni, e non molti anni dopo difatti fu decisa la costruzione di quella che noi oggi ammiriamo.

Devo supporre pertanto che il convento dei Padri Carmelitani deve aver subito irreparabili danni, infatti, per i motivi di cui sopra, nel 1746, ossia tre anni dopo, la struttura fu abbandonata e i Carmelitani scomparvero definitivamente da Ceglie.

Quell’istituzione, per circa cinquant’anni in una comunità povera come quella nostra di quei tempi, svolgeva una meritevole e caritatevole azione verso quelle persone anziane e non, le quali vivevano sole e/o ammalate o mancavano addirittura dei più elementari mezzi di sostentamento. Potremmo paragonarla, a mio parere, alla odierna organizzazione Caritas. La popolazione cegliese apprezzava e stimava quei frati al tal punto che un pio benefattore aveva donato loro un appezzamento di terreno [3] costituendo la cosiddetta Grància. Quel terreno era ubicato sulla strada che da Ceglie conduce a San Michele Salentino dove ora sorge il complesso ospedaliero “Fondazione San Raffaele”.

Il comportamento dittatoriale del Clero locale non deve essere però una sorpresa per noi cegliesi. Identico atteggiamento fu usato nei confronti dell’istituzione a parrocchia della Chiesa di San Rocco. Furono necessari ben cinquant’anni prima che il Capitolo locale concedesse il beneplacito.

Dalla documentazione in nostro possesso possiamo ricavare un’informazione molto importante. La strada che da Ceglie allora conduceva a Carovigno è l’odierna rotabile che costeggia la Casa di riposo San Giuseppe, sale alla contrada Tamburo (Tammurro) e proseguendo conduce direttamente a quella città.

Mi preme far conoscere, infine, che questo convento ospitava soprattutto i pellegrini i quali provenienti da Napoli (con i mezzi in uso tre secoli fa – a dorso di muli o a piedi) dovevano raggiungere il porto di Brindisi per imbarcarsi per la Terrasanta. Costoro una volta raggiunta Massafra invece di proseguire per Taranto percorrendo la via Appia [4], deviavano per Ceglie via Martina percorrendo l’allora strada (SP 65 – SP 66) che univa le due città, ovvero, via Fedele Grande.

L’odierna strada Ceglie – Martina Franca (SS 581) fu costruita tra il 1864 e il 1891.

I pellegrini, poi, dopo alcuni giorni di riposo nel convento, raggiungevano Brindisi via Mesagne. Tra  la nostra città e Mesagne esisteva, all’epoca, una via diretta che collegava le due città e risaliva al periodo messapico. A Mesagne viene ancora oggi ricordata la “strada vecchia per Ceglie”.


[1] Nacque a Cosenza il 23 mar. 1624, vicario generale di Palermo, dottore in diritto civile e canonico, di nomina regia, governò la diocesi dal 9 sett. 1675 al 25 febb.1697, fu trasferito a Pozzuoli, morì a Napoli nell’agosto 1698.

[2] O.Carbotti – D.Bruni, Iconografia Carmelitana a Martina Franca, Martina Franca 1995, p.171.

[3] ASBR. Platea San Domenico…..a. 11744, piante geometriche; C.R.S.E.C. n.21, Terre Celiarum del Galdo – Hydruntini Provincia, Oria 1997, p.75

[4] La via Appia dei romani da Taranto proseguiva per Oria – Mesagne e Brindisi. Allora Francavilla e Latiano non esistevano

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