Il libro di Mariella Ligorio, una raffinata cantatrice del micromondo meridionale. La sua raccolta poetica, pubblicata da Schena, riporta all’epoca umanistico-rinascimentale
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di Gaetano di Thiène Scatigna Minghetti
Mariella Ligorio e la silloge Stoica terra. Un connubio accattivante, coinvolgente. Magico, starei per dire, senza tema di esagerazione, in quanto la poetessa, con la propria prova letteraria, cui ha fornito corpo editoriale, nel 2023, nella collana Polimnia, diretta da Pietro Magno, Schena Editore, di Fasano di Brindisi, una realtà editoriale molto proclive alle pubblicazioni d’impegno, non soltanto della Puglia bensì, anche, dell’intera Penisola Italiana.
L’Autrice, una stoica cantatrice poetica di Ceglie Messapica, ha voluto porsi così alla sequela delle grandi rimatrici di epoca umanistico-rinascimentale che rispondono ai nomi di Isabella di Morra (1520 – ca. – 1545 / ’46), Vittoria Colonna (1490 – 1547), Gaspara Stampa (1523 – 1554) e di tutte le altre signore della letteratura poetica italiana ed europea che hanno dominato il XVI secolo con la loro passionata valenza di donne colte e di mondo fornendo identità, “al femminile”, all’intera Stoica terra!
Perché già dal titolo dell’agile volume si percepiscono, filologicamente, gli echi di derivazione classica che permeano di sé l’intera produzione poetica della Ligorio: equilibrata, sobria, limpida. Senza sbavature né ridondanti estetismi. Tutto è misurato, bilanciato con sorvegliata intelligenza. I temi e i tempi si snodano con suadente, fluida libertà. Specie nell’uso degli aggettivi che, con la loro ariosità, la propria intrinseca dovizia, l’impeccabile ibridazione illuminano i versi che, nell’esprimere la compiutezza logica del significato, fanno talvolta ricorso agli enjambements formando un armonico unicum per “regalare” humus e vita ai “pezzi” poetici che costituiscono l’originale tettonica dell’intero volume. Che riposa su di un micromondo meridiano che nulla ha di lezioso ma viene costellato da miriadi di luminelli rischiaranti il cammino dell’uomo sulla “stoica terra” sulla quale gli è dato vivere, sebbene nell’attuale temperie umana e geoculturale essa sia ormai agonizzante ed invano invochi un qualsivoglia lenimento all’arsura fisica ed, anche, metafisica, che l’angustia, la rinsecchisce, la rende sterile: “piange la terra il suo destino amaro… / Prega la terra e un sordo aiuto invoca… / Grida la terra il suo dolore immane… / muore la terra: tempo non più vi è…” (Stoica terra, p. 28).
È, questo, un incalzante crescendo di sapore quasi rossiniano che dà l’esatta misura con cui la poetessa indica l’azione da compiere per salvare il mondo in stato ormai preagonico, per costruire un futuro di speranza e di amore rasserenato.
Sarà ascoltata? Io credo di no! L’uomo corre; corre verso il suo folle destino senza voler ascoltare l’urlo di una stoica cantatrice che dal suo spicchio di terra japigo-messapica – Ceglie -, terra rossa, terra sacramentata e irrorata dal sudore di mille e mille generazioni di anonimi contadini, piange e invoca la salvezza; urla e reclama il suo diritto alla vita; bestemmia, anche, e insieme blandisce in un trepido slancio di un’accorata preghiera d’amore perchè finalmente si possa riflettere su quanto sia bella l’esistenza e su quanto essa liberalmente ci offre in un empito spontaneo e gratuito, come solo un poeta sa e possa fare. E, Mariella Ligorio è un poeta e in tale veste, con la sua silloge, ci porge la mano per offrirci quel passe-partout per la vita che molti conoscono, ma che pochi hanno il coraggio di volerne appieno usufruire. Per intonare, assieme alla poetessa Ligorio, un canto primigenio di liberazione totale dai calamitosi momenti che, per ventura, ci è dato di vivere. Per affrancarci, infine, dalla schiavitù del pensiero omologato e dalle avvolgenti catene che ne costringono il volo.