Da alcuni mesi la chiesa della Madonna della Grotta, sulla vecchia strada tra Ceglie Messapica e Francavilla, è parzialmente ingabbiata per impedire il temuto crollo. Ma l’impalcatura non può difendere il tempio di 700 anni fa: tutto si regge sul precario equilibrio tra una pietra e un architrave spezzato. Si consuma un altro dramma del patrimonio storico tra l’indifferenza e il silenzio delle istituzioni
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di Jacopo Urso
In questi casi, una strana empatia sorge spontanea per gli storici, quella strana sensazione che ci porta a chiedere: ”Chissà l’autore cosa ne avrebbe pensato della sua opera ora?”. E questo è proprio il caso; cosa avrebbe mai potuto pensare l’architetto del ‘300 Domenico de Juliano dinanzi allo stato di totale abbandono e degrado in cui versa la Chiesa e Cripta della Madonna della Grotta?
Ogni cosa nasce ed è soggetta alle evoluzione socio-culturali, e sulla Madonna della Grotta si potrebbe dire molto, si potrebbero individuare i periodi di massimo splendore e anche l’inizio del declino, ma non è quello che si vuol fare in questa sede.

Ci approssimiamo ad una delle nuove tragedie storiche che potenzialmente potrebbero scandire il nostro di secolo, ed il nostro essere “Cegliesi”. Le parti chiamate in causa sono da un lato La madonna della Grotta e la chiesa e il chiostro di San Domenico (solo pochi giorni fa menzionata in un altro articolo). Un lento declino strutturale che però risale agli ultimi anni ’50, tante proposte, tanti auguri e palesazione d’interesse ma ancora nulla….
Vi son cegliesi che non sanno neanche cosa e dove sia, e forse dall’inverno prossimo potrebbero non scoprirlo mai. Il futuro del monumento si gioca su un mattone in bilico e un architrave spezzato sorretto da un debole contrafforte, poca roba se si pensa alle terribili folate invernali che ci siamo lasciati da pochi mesi alle spalle. E forse la necessità di montare le impalcature da parte dei proprietari, senza chiedere autorizzazioni alla sopraintendenza o senza informare il Comune o i vigili/carabinieri, si è presentata proprio in seguito a questi eventi metereologici che hanno minato la staticità già precaria di un’opera che ha ormai più di 700 anni. Forse a muovere l’iniziativa è stata la paura di dover pagare, in caso di verosimile crollo del monumento, cifre salatissime per non aver mai proceduto al restauro o consolidamento della struttura, un acclarato bene di valore inestimabile.

Son stati presentati vari solleciti, inviti e avvisi alle autorità, le quali si sono dette ignare della situazione, eppure nel mentre, mentre noi scriviamo, mentre quel mattoncino tien su con sforzo immane il peso della memoria ancor prima di quello della struttura, i nostri amministratori sono impegnati nell’acclamare come straordinari alcuni interventi di ordinaria amministrazione, con tanto di foto di gruppo e didascalia; l’unica cosa straordinaria sarebbe invece vedere l’amministrazione prendere a cuore una parte della nostra storia, non necessiteremmo di foto di gruppo o grandi eloqui a seguire, basterebbe la presa di coscienza. Ma non c’è più tempo.
Quel fragile mattoncino che tiene su il doppio campanile a vela che si sta fratturando a metà, ha un non so che di poetico, è incredibilmente calzante con il discorso che si sta portando avanti. Un esempio di resilienza (non me ne vogliano i fisici), in senso lato. Figlia forse di un luogo del mondo dove non si era ed evidentemente non si è ancora sviluppato un senso di tutela e rispetto del passato. Se le distruzioni del nostro patrimonio, risalenti ai due secoli precedenti, passavano in sordina dinanzi all’ignoranza e all’alibi del “bene superiore”, ora non si può più accettare questa retorica.
Ancora una volta arriva l’ennesimo articolo sullo stato della Chiesa, ancora un articolo che si somma a quelli che hanno riempito pagine di giornali, blog, post social, siti internet (FAI), oltre che documenti ufficiali presentati alla sopraintendenza e al Municipio. Finché quel mattoncino reggerà, rimarrà viva anche la memoria e la voglia di guardarsi intorno, ma manca poco… troppo poco… e il malaugurato crollo non sarebbe che l’epitaffio sul sacello di Ceglie, come comunità, popolo, cultura….